Era metà settembre e poco dopo l’ennesima visita a Londra, avevo già voglia di ripartire a breve termine. E così mi misi alla ricerca e trovai un volo low cost per Katowice, Polonia. A dir la verità il prezzo era troppo invitante ( 98 euro ) e così incuriosito vidi che era ad un’ora di treno da Cracovia e da circa 50 minuti da Auschwitz. E quindi era l’occasione di visitare sia la Polonia ma soprattutto di fare un’esperienza unica nel suo genere, che ti resta per tutta la vita. Atterrato a Katowice di Venerdì decido di andare direttamente a Cracovia, cosi avrei visto Cracovia, poi il sabato Auschwitz e il tempo restante l’avrei dedicato a Katowice in cui avevo pernottato l’hotel. Il Sabato mattina avevo il treno alle 11 per Oswiecim, la città in cui Auschwitz è il nome ‘’germanizzato’’, e prima andai un po’ in giro per Katowice. Nella mente già capivo dove stavo andando anche se la realtà poi rende di più l’idea. Ascoltai il consiglio di un amico, dove mi consigliava addirittura di ‘’prepararmi’’ con qualche sorso di vodka. Era una giornata soleggiata, in treno cresceva la curiosità mentre passavo da una miniera di carbone all’altra lungo la strada. Arrivato a Oswiecim prendo un taxi fuori la stazione per il campo. Da fuori non rende perché si vede poco e solo con la mente sai dove ti trovi. Una volta dentro raggiunto il punto d’incontro con la visita guidata il tour parte. Iniziamo a percorrere un lungo corridoio all’aperto in cemento nuovo, lungo circa 200 mt, e la guida ci dice di ascoltare attentamente. Come inizia il corridoio ogni 5 secondi circa degli altoparlanti nascosti annunciano dei nomi, ogni 5 secondi, solo nome e cognome. Sono i nomi delle vittime del campo. Camminare per 200 metri e ascoltare questi nomi a intervalli regolari già rende l’idea dell’esperienza, furono 200 metri lunghissimi tutti con la pelle d’oca e un brivido che ti attraversa tutto il corpo.
Dopo questo corridoio la visita continua all’interno di un ex-caserma nazista nel campo, adibita oggi a cinema. Qui viene proiettato un video di circa 6-7 minuti dove introduce e spiega con cenni storici la visita che avremmo fatto da lì a breve. Una frase però mi rimarrà impressa per sempre, e appena la sentìì iniziarono a brillarmi gli occhi e come una scossa elettrica attraversò ogni muscolo: ‘ il 70% dei prigionieri di Auschwitz non durava il tempo della tua visita di oggi’. Fu davvero dura trattenere le lacrime perché ormai ero completamente dentro a quell’esperienza. Dopo il cinema inizia la visita al campo, attraverso il famoso cancello. La scritta, la sbarra, era tutto così inquietante, entrai quasi in punta di piedi e come passai il cancello fu come entrare in un’altra dimensione. Il silenzio faceva un rumore assordante tra i numerosi block ( gli edifici in mattoncini nel campo ) e circondato da filo spinato ovunque. Nei block oggi adibiti a museo la visita diventa ancora più dura. In molti di questi block vengono esposti attraverso delle enormi vetrate gli oggetti dei prigionieri. Sono tutti accatastati uno sull’altro per rendere l’idea della quantità enorme di persone che hanno perso la vita in quel campo. Oltre alle valigie, le scarpe e altri indumenti c’erano anche i capelli. Uno stanzone enorme con questo vetro e dietro una quantità di capelli assurda, come se fosse una montagna. Questi insieme alle scarpe fu una scena davvero tosta, era diventato anche difficile camminare, tutto così pesante. Uscendo dai block si sentiva solo il rumore del vento tra le foglie, un silenzio surreale, si camminava ma è come se avessi un peso addosso, una montagna, come se la morte era lì in ogni angolo e la sentivi addosso, sulle spalle. La visita prosegue con forse la parte più dura e impegnativa del campo: le docce e i forni. I prigionieri arrivavano in questo piccolo edificio ,con una stanza grande, umida e fredda. Non fu facile attraversare quella stanza, anche perché facemmo lo stesso percorso dei prigionieri: 20 metri fuori venivano fatti spogliare e poi fatti entrare. Era impossibile non immedesimarsi in quella situazione, il terrore che ti attraverso intero, e un senso di angoscia e tristezza profonda tra quelle 4 mura fredde. Dopo questa arrivano i forni.
L’odore o per suggestione o per realtà è strano, non riesco a trovare un aggettivo, ma solo strano e presente. Non è facile spiegare quei minuti nella stanza dei forni, era come la morte era intorno a te, in ogni singolo atomo, ma era come se ti attraversava e ti lasciava un pugno allo stomaco, e non avevi forza nemmeno di parlare. A tratti era come se fossi immobilizzato, perso e impotente difronte a quello che stavo vedendo.
La visita prosegue con una navetta che ci porta al campo di Birkenau a circa 4 km. Lungo il tragitto si capiva la vastità del campo, e quel filo spinato era sempre lì, non ti lasciava mai, come se non ti lasciava nessuna speranza. A Birkenau camminare vicino ai binari con lo sfondo l’entrata, non era facile. Era una lunga strada diritta, profonda e piena di tristezza e angoscia. Ogni volta che guardavo la porta e i binari pensavo a quante persone l’avessero attraversata e non rivista più, era la porta dell’inferno sulla terra. Lungo il tragitto è esposto un vagone di un treno che veniva utilizzato per le deportazioni. Anche questa fu un momento intenso, era più piccolo di come lo immaginavo, con serrature e catenacci, e non riuscivo a vedere passaggi di aria. Ti passa per la mente di immaginare un viaggio lì dentro per giorni, uno sull’altro, al freddo, senza cibo o altro. Fu un altro pugno allo stomaco e le lacrime di tristezza ormai era difficile da contenere. L’ultima parte della visita era entrare in uno dei capannoni dove erano rinchiusi i prigionieri. Strutture abbastanza grandi e con dei letti che non erano letti. Ma solo tavole di legno, dure e fredde. Chi invece era ammalato o aveva un handicap era destinato al pavimento freddo e angusto, dove forse sembrava più un posto per un animale e non per un essere umano, ma lì l’umanità non c’è mai stata. La visita si conclude e si torna al punto di partenza, e per il tragitto guardando quel filo spinato, ti tremano ancor le mani per l’esperienza vissuta. E porti dentro di te una grande tristezza e angoscia per quello che hanno visto i tuoi occhi. E proprio per questo speri che non accada mai più, ma purtroppo l’uomo dimentica facilmente, quando la storia invece può insegnare davvero tanto.